C’è chi vuole rendere i lavoratori partecipi per davvero nelle decisioni delle grandi aziende. Si tratta di un passaggio cruciale nella definizione dei rapporti lavorativi, per la Cisl qualcosa di più di un desiderio. Da qualche mese infatti questa sigla sindacale raccoglie firme per una legge di iniziativa popolare, attraverso cui disciplinare la partecipazione attiva nella fase gestionale. Alla base dell’istanza c’è la volontà di modernizzare il nostro sistema produttivo e occupazionale: i sindacalisti che la promuovono ritengono che, oltre a un miglioramento delle condizioni di lavoro (migliori retribuzioni, migliori condizioni contrattuali, più sicurezza e stabilità del lavoro), potrebbe generare per le imprese una più alta produttività e un aumento del livello di innovazione e competitività. E qualche realtà aziendale è passata dalle parole ai fatti, invitando le rappresentanze sindacali alle riunioni del proprio consiglio d’amministrazione, come ad esempio la ex Manfrotto di Cassola.
«Il coinvolgimento dei dipendenti nella gestione vera e propria parte da lontano –spiega |Raffaele Consiglio, alla guida della Cisl vicentina| -. Un po’ è un fattore socioculturale, perché il Nordest, e il Veneto in particolare, è la terra della mezzadria e della piccola proprietà: qui i contadini concordavano con il padrone il terreno da coltivare e la quantità da produrre e tenere per sé. Per non parlare del modo di condurre l’impresa di certi datori di lavoro nel XIX secolo e agli inizi del XX, un po’ “patriarcale” forse, ma attento a garantire un certo grado di benessere e partecipazione a chi stava sotto di loro. Senza dimenticare l’apporto di encicliche come la Rerum Novarum di Leone XIII, che incoraggiava i confronti tra operai e industriali». A cui si sono aggiunti, negli anni, i vari accordi con i gruppi aziendali e altre proposte di legge. «Nel 2014 ci fu un primo accordo con Confindustria per aumentare l’apporto dei lavoratori a livello gestionale», spiega Consiglio.
Finora si è però concretizzato un unico caso nel territorio vicentino, quello della ex Manfrotto appunto, che produce accessori professionali per fotografi. «Dal 1989 appartiene alla multinazionale britannica Vivendum –precisa |Davide Passuello, delegato Cisl per i metalmeccanici| -. Attualmente è suddivisa in due stabilimenti: a Feltre di 400 unità, tutti operai, e a Cassola con 150 dipendenti, tutti impiegati». Nel dettaglio è stato inserito un Comitato strategico partecipativo, che prevede la comunicazione delle strategie aziendali a un componente di parte sindacale, e un sistema di valutazione delle competenze con un bilancio delle competenze trasversali attraverso una commissione di valutazione. «Sono di fatto degli “auditori”, vengono aggiornati mensilmente sul bilancio e sulla programmazione triennale». Promuovono inoltre la formazione continua con i Fondi Impresa. Tutto questo parte dall’accordo integrativo 2018-2020, dopo i precedenti contratti del 2013.
L’idea di fondo, ribadita in passato dai colleghi di Passuello, è che la contrapposizione tra datori di lavoro e dipendenti non porti a nulla di proficuo; meglio quindi la trasparenza e la collaborazione.
Sulla scia della ex Manfrotto altre grandi imprese del circondario si stanno muovendo in questa direzione. Una, grande e rinomata, opera da decenni nella produzione di impianti di riscaldamento. Al momento, tuttavia, i loro vertici preferiscono non esporsi. «Hanno mostrato interesse, ma è prematuro parlarne ora» fa sapere lo stesso Passuello. Il medesimo messaggio proviene dal collega Maurizio De Zorzi, che si occupa del settore alimentare. «Siamo in contatto con alcuni gruppi, due in particolare, che vorrebbero potenziare i propri contratti integrativi – aggiunge De Zorzi -. La loro intenzione è portare i dipendenti nelle riunioni importanti dei Cda: vorrebbero un riscontro da noi su eventuali accordi futuri. In ogni caso non vogliono scendere nei dettagli, hanno solo mostrato interesse per queste forme di coinvolgimento». Ragion per cui neppure questi ultimi hanno voluto rivelare i propri nomi. Forse è principalmente una questione di tempo, quanto ancora non si sa.
Un’indagine della fondazione Corazzin commissionata dalla Cisl Veneto, su 1143 lavoratori, rivela che il 90 per cento di essi ritiene la partecipazione importante e quasi la metà (47,47%) la valuta un fattore fondamentale per un reale miglioramento nell’organizzazione. Il rapporto cala quando dipendenti e collaboratori dichiarano l’interesse effettivo a partecipare alla vita della propria azienda, in questo caso si ferma ai due quinti del totale; se unita al 35,5 per cento degli intervistati che desidera non essere coinvolta, fa emergere ancora una scarsa consapevolezza generale. Sull’altro versante, la sensazione di benessere lavorativo cresce quando ci si sente ascoltati dai propri responsabili o superiori, per la precisione nel 95 per cento dei casi secondo l’indagine. E cala drasticamente in quelli che accusano di non essere ascoltati per nulla, quasi sei casi su dieci.
Roberto Turetta