Può il cristianesimo trovare spazio in un romanzo dell’orrore? Sì, se ti chiami Stephen King. I racconti e i romanzi del “re dell’horror” non sono estranei alla tematica religiosa, come racconta Anna Pastore, per oltre vent’anni editor di Stephen King per l’editore Sperling & Kupfer che ne pubblica gli scritti in Italia.
Pastore, quando parliamo di Stephen King chi abbiamo davanti? Un autore “di genere” o un grande romanziere americano?
«Per rispondere partiamo da una delle caratteristiche più straordinarie di King: la sua grande capacità narrativa. Lui prova piacere a raccontare storie e a scriverle. La sua scrittura è scorrevole, intrigante, ha donato ai lettori incipit indimenticabili. La sua lingua, poi, è molto ricca, cosa che dà soddisfazione anche a chi considera gli autori di genere minori o sciatti. È uno scrittore “popolare”, molto abile a costruire dialoghi ma è altrettanto bravo dal punto di vista letterario: King elabora la sua conoscenza degli autori classici americani attraverso una scrittura a tratti persino poetica. I suoi riferimenti sono scrittori come William Faulkner e John Steinbeck che parlano di personaggi “popolari”. Lo stesso King nasce e cresce in un paesello rurale nel Maine, circondato da contadini e operai al limite della povertà. Sua madre parte per cercare lavoro in una grande città industrializzata: sembra un romanzo di Steinbeck».
Gli autori che ha citato rappresentano una cultura letteraria americana intrisa anche di senso religioso. Vale anche per King?
«King è profondamente americano e appartiene a quella classe operaia che aveva un legame molto forte con la religione. King, in particolare, è metodista per formazione. Per lui andare in chiesa, pregare e cantare insieme crea comunità. Ed è proprio la comunità uno degli strumenti che King, nei suoi romanzi, contrappone al male. Nel suo grande classico “It”, i ragazzini protagonisti sconfiggono il male perché solidarizzano tra loro». Però è vero anche che sempre in“It” c’è anche una comunità che compie il male. Spesso le efferatezze che avvengono nel romanzo sono collettive. «È vero. Derry, la città immaginaria in cui è ambientato il romanzo, viene interamente irretita da It, questa entità maligna che prende la forma di tutta una serie di lati negativi presenti nella natura umana. Alla fine la sua “forma” principale si rivelerà essere quella di un mostro, ma si tratta di un pretesto: i veri mostri del romanzo sono il papà che abusa della figlia o i bulli che perseguitano i ragazzini più deboli. Ma c’è di più».
Cosa intende?
«Nel romanzo “It”, Stephen King sembra dire che la solidarietà da sola non basta. I ragazzini protagonisti se lo domandano spesso: se ci fosse stato un “altro” a guidare le loro azioni? Per la formazione religiosa di King il libero arbitrio è fondamentale, ma nel romanzo pone il tema di una forza benefica al di fuori di noi che guida le azioni dei protagonisti».
In quali altri romanzi di King si trova questo elemento?
«Ne “Il miglio verde”, che molti conosceranno per aver visto il film, il carcerato di colore guarisce gli altri aspirando il male e alla fine morirà caricandosi del male di tutti. È una figura cristologica che ha un altro fattore rilevante: è impersonificata da un afroamericano, e questo risalta molto se si legge il romanzo nel contesto culturale e sociale statunitense».
Sta dicendo che King è uno scrittore politico?
«King è molto riservato, non ama apparire in pubblico, ma è molto attento a quello che gli accade attorno. E non è uno che sta zitto: è profondamente democratico. Viene facile vederlo come un “discepolo” di Edgar Allan Poe o di H.P. Lovecraft, grandi autori dell’horror e del fantastico, ma questa sua dimensione politica lo avvicina di più, ancora una volta, ad autori come Steinbeck».
Ci sono altri elementi che potremmo definire “cristiani” nei romanzi di King?
«Direi quella “pietas” che nel racconto si prova verso i personaggi che compiono il male. In “Shining”, ad esempio, il lettore arriva a provare compassione per il protagonista che viene irretito dal male contenuto nell’hotel dove si trasferisce con la moglie e il figlio. Nel film di Kubrick tratto dal romanzo, questo aspetto scompare completamente. Ma si tratta di un elemento importante, legato alla biografia di King e ai suoi problemi con l’alcol».
Oggi l’horror, specialmente al cinema, sta vivendo una stagione di rinnovamento che lascia spazio a tematiche colte e approcci autoriali. Ma, di fondo, che genere è?
«Tecnicamente l’horror è una declinazione del fantasy in cui a farla da padrone è il sentimento della paura. A sua volta l’horror ha molte sfumature, da quelle più letterarie allo “splatter”. Alcune di queste sono pensate per il pubblico giovane: per gli adolescenti l’horror è un modo di affrontare le proprie emozioni e, in fin dei conti, “uscirne vivi” da un’età che fa paura. Più in generale è vero che l’horror è tornato in auge, sia dal punto di vista letterario che cinematografico. Il perché? Forse i tempi che viviamo sono tornati a fare paura. In Stephen King la paura è uno di quei sentimenti che può scatenare il peggio nelle persone. Ognuno poi sceglie come vincerla e uno di questi ‘strumenti’ è certamente il cristianesimo».
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