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Il calcio sociale sbarca a Vicenza. Ed è tutto un altro gioco

Hanno cambiato le regole del calcio. In barba a tutti. Per renderlo più semplice, facile, inclusivo ed educativo. Cinque, massimo sette per squadra in campo, solo un goal a testa «per evitare che i più bravi prendano il pallone e facciano tutto da soli», autoarbitraggio, i capitani che discutono di falli e rigori, cerchio iniziale e finale per raccontarsi come ci si sente e com’è andata. Persone con disabilità assieme ai normodotati, che è una brutta parola perché non vuol dire nulla. Dai 6 ai 90 anni, maschi e femmine. Ragazzi autistici, giovani con sindrome di Down, deboli mentali, adulti con patologie psichiatriche, calciatori, ragazzi del quartiere, famiglie. L’obiettivo è trasformare i campi da calcio in palestre di vita.

È il calcio sociale che da Roma, passando per le Marche, è arrivato a Vicenza, unica città del nord ad accoglierlo. Ogni domenica pomeriggio, alle 15.30 (orario per l’autunno-inverno), l’appuntamento è con la partita al campo sintetico di San Bortolo in via Pascoli 9/A a Vicenza. Tutto l’anno, feste comprese. Il progetto è promosso dall’associazione di promozione sociale “Via Firenze 21” che dal 26 ottobre ha avviato la raccolta fondi “Magic Football Vicenza Via d’inclusione per l’umanità” sul sito www.ideaginger.it per acquistare i materiali utili a far crescere il progetto. È attiva fino a Natale.

«Il Calcio Sociale ha come finalità il prendersi cura di tutti i componenti della squadra» spiega il presidente di Via Firenze 21 Roberto Manfrè, insegnante di religione. «Domenica scorsa eravamo in 25, dal bimbo di 6 anni ad un 84enne, papà di un ragazzo autistico che ha cominciato a verbalizzare a 24 anni. Per alcuni di loro è l’unico momento per uscire di casa. Non c’è giudizio, ci si diverte». «Scendo in campo anch’io con io miei 125 kg e faccio il cono d’ombra per una difesa fortissima» scherza Roberto.
I ragazzi con disabilità sono il 20-30%. Dal calcio sociale imparano tutti: «C’è una presa di responsabilità dell’altro, chi è forte si mette a disposizione, l’obiettivo è far segnare chi ha una disabilità. Un modello interessante».

Se la raccolta fondi andrà bene ci sarà l’aggiunta di un pomeriggio per allenarsi insieme e alcune gite fuori porta, sicuramente a Roma dove tutto è nato. I soldi che verranno raccolti saranno investiti per casacche e maglie personalizzate, per un defibrillatore «che abbiamo già acquistato, ma dobbiamo pagare chi ha anticipato i soldi» spiega Manfré, materiale vario per allenarsi, l’assicurazione degli atleti e le spese del campo di calcio.

In squadra ci sono anche una decina di volontari tra cui due insegnanti di sostegno, due mister che hanno appeso le scarpette della Figc al chiodo e alcuni genitori. La partita, ogni domenica, è a tre tempi: due in campo e uno fuori per chiacchierare e socializzare. «È importante approfondire lo sguardo e aprire la visuale per riconoscere l’altro, nostro fratello o sorella. Da noi non serve saper giocare bene, ma esserci come ognuno di noi è» conclude Roberto Manfrè. L’FC Vicenza, che gestisce il campo di San Bortolo, condivide e partecipa alla progettualità del Calcio Sociale.

Marta Randon