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Giornata della memoria. I luoghi della Shoah in provincia di Vicenza.

di Albano Mazzaretto

Di quante pietre d’inciampo avrebbe bisogno tutto il territorio della provincia vicentina per rendere piena testimonianza della persecuzione degli ebrei? Tante. Alcune lapidi in questi anni sono state collocate qua e là nel territorio, altri luoghi attendono ancora un segno; una lapide, un monumento, una pietra d’inciampo, che li riscatti dal mare della dimenticanza, perché sono molte le situazioni che possono testimoniare un qualche collegamento tra la provincia Vicentina e la Shoah, a partire dai 28 comuni che hanno dato accoglienza a quegli ebrei obbligati alla “residenza coatta”.

È una storia questa che ci riguarda tutti, rimasta dimenticata per molto tempo, portata alla luce una quindicina di anni fa con i loro studi dai ricercatori dell’Istrevi di Vicenza, Paolo Tagini e Antonio Spinelli. Con l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) le autorità fasciste predisposero l’internamento per tutti quei cittadini appartenenti a Stati nemici. Fra le migliaia di persone coinvolte da tale provvedimento furono inclusi anche gli stranieri di “razza ebraica” allora presenti nel Regno e nei territori occupati dall’esercito italiano. Fatto che si concretizzò nella reclusione in campi di concentramento o nell’obbligo del domicilio coatto in particolari località del Paese. Quest’ultima modalità della residenza coatta, definita anche “internamento libero”, interessò direttamente anche 28 comuni della provincia vicentina dove trovarono posto complessivamente 615 ebrei, la maggior parte fatta affluire dalla Dalmazia, altri rifugiati qui da tempo in fuga dalla Germania e dell’Austria.

A Vicenza non c’era una grande comunità ebraica, si ritiene appena una quarantina di persone. Con l’8 settembre del ‘43 chi aveva cercato rifugio in Italia si rese subito conto che la discriminazione razziale sarebbe passata dalla persecuzione dei diritti a quella delle persone, e tanti ripresero di nuovo la via della fuga. Nell’Italia settentrionale furono creati vari campi di concentramento per internare quegli ebrei che poi con i vagoni piombati sarebbero stati portati in Polonia.

Il Campo di concentramento di Tonezza del Cimone, l’unico in provincia di Vicenza fu dunque uno dei vari campi creati in Italia. Venne ricavato dalla colonia alpina “Umberto I” e fu aperto ufficialmente il 20 dicembre del ’ 43. Qui vi furono tenute prigioniere 45 persone di origine ebraica, 42 delle quali, tra cui tre bambine e due bambini, caricate poi sul convoglio n. 6 del 30 giugno 1944 diretto a destinazione ignota, cioè Auschwitz. Lo stesso della grande testimonedella Shoah Liliana Segre. Esaurita la sua funzione, il campo venne poi chiuso.

Il Teatro Olimpico, il tempio della cultura vicentina, fu usato e profanato per tenervi chiusi 8 ebrei, 2 italiani e 6 stranieri, prima del loro trasferimento a Tonezza.

Una profanazione che non ha ancora interrogato il mondo della cultura mettendo a confronto il Teatro Olimpico con la sentenza di Adorno sull’impossibilità di fare poesia dopo Auschwitz, cioè il nostro celebre teatro, con la cenere della Shoah. L’amministrazione comunale di Vicenza con un cerimonia ufficiale ha posto una lapide a ricordo degli ebrei deportati, così come in altri due luoghi simbolo della persecuzione, l’ex carcere di San Biagio e la vecchia sede della Guardia nazionale repubblicana.

La vecchia linea ferroviaria Ostiglia–Treviso in corso di trasformazione in una importante via ciclabile, durante la Seconda guerra mondiale svolse un ruolo chiave per l’esercito di occupazione tedesco.

A causa dei bombardamenti che avevano interrotto le altre linee ferroviarie italiane, la ferrovia di origine militare che attraversava 4 province venete, divenne un collegamento privilegiato e obbligato verso i territori del Reich. Sulle sue rotaie transitarono decine di treni merci carichi di prigionieri di guerra ed ebrei destinati ai lager della Germania e della Polonia. Di solito i treni con i vagoni piombati stipati di prigionieri passavano senza fermarsi. Talvolta qualche convoglio era costretto a sostare per concedere il passaggio di precedenza ad altri treni. E allora ben si sentivano le grida e i lamenti che si levavano da quei convogli. Per questo la vecchia stazione di Cologna Veneta è stata assunta come luogo simbolo della Shoah e dieci anni fa in un tratto di binario adiacente la stazione sono stati posti dei vagoni merci simili a quelli usati per le deportazioni. Ma è tutto il cammino di 110 km da Ostiglia a Treviso, che dovrebbe venire ricordato come una delle tante vie dolorose del periodo più buio conosciuto dall’umanità dello scorso secolo.

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