La dichiarazione del presidente americano Donald Trump su Gerusalemme capitale di Israele ha riportato ai livelli di massima allerta la temperatura della geopolitica mediorientale. A sorpresa, la corsa settimana il capo della Casa Bianca ha annunciato: «È ora di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, è l’inizio di un nuovo approccio al conflitto israelo-palestinese. Israele è uno stato sovrano che ha il diritto, come ogni altro Paese, di decidere la sua capitale. Essere consapevole di questo è una condizione necessaria per raggiungere la pace».
Le tappe del conflitto tra israeliani e palestinesi corrono lungo tutto il Novecento: nel 1947 le Nazioni Unite approvarono un piano per dividere l’area tra Palestina e Israele, mettendo Gerusalemme, città sacra per le tre religioni monoteiste, “sotto regime speciale internazionale”. I palestinesi si ribellarono, furono sconfitti, e gli israeliani conquistarono anche la metà orientale di Gerusalemme. A seguire una sequela interminabile di guerre, conflitti e tentativi di pace che hanno visto Israele in guerra permanente per “tutelare” il proprio spazio territoriale: la guerra di Suez del 1956, la guerra dei “Sei giorni” del 1967 e la guerra del Kippur del 1973. Nel 1980, Israele dichiarò Gerusalemme unificata come unica capitale dello Stato ebraico per poi annettere l’anno successivo le alture del Golan. Nel 1982, Israele avviò l’operazione “Pace in Galilea”, che prevedeva la creazione di una zona priva di insediamenti palestinesi attorno ai confini settentrionali israeliani. Nel 1987, dopo vent’anni di occupazione israeliana, iniziò un periodo di sollevazione popolare, la prima “Intifada”. Nel 1992, a Washington, Bill Clinton, Arafat e Rabin firmarono pubblicamente gli accordi di Oslo: Israele si sarebbe ritirato dalla striscia di Gaza e avrebbe lasciato l’amministrazione all’Autorità Nazionale Palestinese. Nel 1995 venne firmato un nuovo accordo, con cui venivano ampliate le zone di governo dell’Anp in Cisgiordania: da metà degli anni Novanta fino ai giorni nostri, però, la definizione del conflitto israelo-palestinese non è mai arrivata a buon esito. Da quello stesso anno, è in “stand-by” una legge statunitense che riconosce Gerusalemme come capitale di Israele: ma finora è stata rinviata a data da destinarsi dai diversi inquilini della Casa Bianca, visti i potenziali effetti destabilizzanti nello scacchiere mediorientale.
La situazione in Palestina è ritornata allo stadio dello scontro vero e proprio nel luglio 2014: gli scontri tra l’esercito di Israele e le milizie palestinesi si innescarono nuovamente dopo l’uccisione da parte di Hamas di tre giovani israeliani. Da quella data, con una regione mediorientale devastata dalle guerre in Iraq, Siria e Libia, le possibilità di ritornare a far “lavorare” la diplomazia in Palestina e in Israele si sono ridotte al lumicino. E con la nuova strategia di Trump tutto viene nuovamente messo in discussione.
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