Don Matteo Zorzanello, 51 anni, da quando è stato ordinato prete ha lavorato a stretto contatto con i giovani, da cappellano a Breganze e Chiampo prima, poi da assistente diocesano dell’Acr e infine come presidente di Noi Associazione Vicenza. Mai però si sarebbe immaginato di assumere l’incarico di delegato vescovile per il servizio diocesano di pastorale giovanile, come annunciato la scorsa settimana dalla cancelleria. «La nomina era del tutto inaspettata e nasce dal fatto che il precedente delegato, don Riccardo Pincerato, è stato incaricato dalla Cei di occuparsi del Servizio nazionale di pastorale giovanile. Così in Diocesi è venuto a mancare un tassello importante della pastorale e il Vescovo ha pensato di coinvolgere me. Personalmente ero pronto per altre cose. Specie dopo l’estate, nella quale ho dato una mano all’unità pastorale di Noventa. Però quello giovanile è un ambito in cui mi trovo bene».
Come immagini il tuo servizio in Pastorale giovanile?
«Attraverso il confronto con il Vescovo mi comprendo come una figura di passaggio. Don Riccardo aveva avviato una riorganizzazione dell’ufficio e io proverò a mettere in pratica questa visione, cercando di progettare un percorso più sostenibile da affidare ad un prete più giovane che possa accompagnarlo per un tratto di strada più lungo di quanto potrò fare io».
In cosa consiste questo lavoro di “riorganizzazione”, come lo hai chiamato?
«Uno dei rischi che esiste da sempre con la pastorale giovanile è che si formi un gruppo di giovani che frequentano le sue iniziative come se fosse un’associazione o una parrocchia. Il percorso avviato a Vicenza vuole provare a mettere al centro ancora di più la realtà locale, con l’ufficio che si occupa di mettere in rete e far dialogare tra loro le persone e le realtà che si occupano di giovani, sostenendole. Credo che questo sia una dei compiti di un ufficio diocesano a servizio delle comunità locali. Si sono già svolti dei tavoli di confronto tra associazioni e il percorso di quest’anno culminerà con il Festival di Pastorale Giovanile, in giugno, che sarà un momento di verifica. Mi piace l’idea di lavorare in maniera estroversa. Lavorare a sostegno del territorio è un’idea che condivido».
Da delegato per la pastorale giovanile conserverai gli incarichi che già ricoprivi, su tutti quello di responsabile per la pastorale sociale. Che ruolo avranno i collaboratori dell’ufficio?
«Avranno un ruolo importante. Non sarò un direttore “a tempo pieno” come eravamo abituati. Siamo entrati in un altro mondo, completamente nuovo».
In cosa è diverso, questo “nuovo mondo”?
«Il cambio più rilevante è che tra i giovani è venuta meno un’appartenenza a una “tradizione”. Magari una volta la Chiesa veniva anche contestata, ma si rimaneva comunque inseriti in questo percorso. Oggi inoltre, complice anche la maggiore cultura e la maggior possibilità di studiare che hanno i giovani, la modalità comunicativa è completamente cambiata. Non abbiamo ancora afferrato fino in fondo l’impatto che stanno avendo le nuove tecnologie. Hanno cambiato il modo di relazionarsi. A questo si aggiunge un individualismo prevalente, con i suoi pregi, che ci sono, ma anche con i suoi difetti. Non da ultimo, la pandemia ci ha mostrato come in poco tempo può avvenire un “reset” che ci costringe a ripartire da zero. In questo mondo sento che le sfide della dimensione relazionale, di essere gruppo, di sentirsi comunità, sono ancora sfide chiave per il mondo giovanile».
Quest’ultima cosa che affermi si lega al tuo incarico in pastorale sociale. Stando all’ultimo “Rapporto Giovani” dell’Istituto Toniolo nei giovani pesa il non sentirsi inseriti in processi di crescita individuali e collettivi. Esiste una domanda di politica. Che ne pensi?
«In questi anni ho visto che in quelle realtà dove i valori diventano impegno concreto verso le situazioni di bisogno, verso le persone e l’ambiente, una presenza giovanile c’è. Quello che manca è una proposta più politica, una “visione” del domani. Gli scioperi per il clima del movimento “Ultima generazione” nascono per chiedere giustamente attenzione. Ma la proposta politica manca ancora. Peggio, forse i giovani sono rimasti delusi dalla politica. E illudere qualcuno per poi deluderlo è peggio del non fare niente».
Quindi che approccio deve avere la Chiesa di Vicenza con i giovani?
«Il Vangelo è l’annuncio d’un mondo nuovo. Se lo annunciamo credo che il mondo giovanile risponderà. Come Chiesa dobbiamo impegnarci, ma anche stare attenti: meglio ragionare cinque minuti in più, pensare prima di agire, perché correre il rischio di deludere i giovani mi spaventa più del non fare niente».
Andrea Frison