Intervista

Don Marco Pozza: «Rido in faccia a Satana protetto da Maria»

Questa sera, giovedì 31 ottobre, notte di Halloween, il prete vicentino collaboratore di papa Francesco propone una conversazione con Maria nella Basilica di Monte Berico, alle 20.
Don Marco Pozza, 39 anni
di Marta Randon

«Un’occasione di provocazione: dopo tutto, non ci resta altra scelta che tra lo scheletro e la bellezza, tra la zucca e il fiore, tra la magia e la fede». A dirlo è don Marco Pozza, 39 anni, il prete conduttore televisivo, conosciuto dai ragazzi come don Spritz, quello dal fisique du role, ma dai gesti e dalla postura servili. E soprattutto da otto anni Cappellano del carcere “Due Palazzi” di Padova e collaboratore di papa Francesco con il quale ha registrato “Padre Nostro”e “Ave Maria” su Tv 2000, dalle quali sono tratti due libri, scritti «a quattro mani». Il prossimo febbraio, sempre sull’emittente della Cei, verranno trasmesse le nuove nove puntate su “Il Credo”.

Nato a Calvene in provincia di Vicenza don Marco, prete della Diocesi di Padova, è espressione di una Chiesa giovane, sneakers e spilla puntata, niente clargyman e formalità.  Questa sera, giovedì 31 ottobre, notte di Halloween, è a Monte Berico per una “Conversazione notturna con Maria” organizzata dalla Congregazione dei Servi di Maria. L’appuntamento è alle 20, accompagnato dal gruppo Soli Deo Gloria. 

Don Marco, quella di questa sera è davvero un’alternativa ad Halloween?

«Non sono così sprovveduto da proporre un’alternativa ad Halloween: ognuno va alla ricerca di un qualcosa che sazi la nostalgia che avverte nel cuore. Con dolcetti-scherzetti io non riesco a saziare quella mancanza che avverto nel mio cuore: ho bisogno di sapere che la mia storia ha un significato, che la sofferenza di certe pagine è sacra, che c’è Maria pronta a farmi le “ripetizioni” di quello che non afferro al volo quando mi parla il Figlio. La serata è quella di Ognissanti, non di Halloween: siccome mi piacerebbe tantissimo diventarlo (è la sfida alla quale Dio chiama tutti!”), vado a cercare i migliori in materia, che è poi una Donna, Maria. È solo confrontandosi coi migliori che si migliora: delle smancerie di Satana non so che farmene. Mi servono per ridergli in faccia, protetto da Maria».

Che cosa vi direte lei e Maria?

«Non so cosa ci diremo: nessuno, quando si mette a conversare con la sua donna, sa in anticipo cosa il cuore partorirà. È dall’incrocio degli sguardi che nascono le parole, certe confidenze, l’inedito di una serata. Ho voglia, tanta voglia, di conversare con Lei: ai piedi di quella statua, da più di trent’anni, ritorno sempre per deporre non tanto un fiore – i fiori appassiscono -, ma le pagine più difficili da tradurre della mia vita. Gliele lascio lì, sigillate da un’Ave Maria: Lei le legge, le medita, il più delle volte le rammenda. Poi, nel rosario, Lei mi parla e mi dice parole di madre. Provengo da quel mantello di Donna come si proviene da un paese».

Come la Vergine può starci vicino la notte di Halloween?

«Maria è donna-madre. Parlare di Maria è come parlare di una Madre: significa fare i conti con un fiume in piena. La sua vita, dunque, parla a tutti. I Vangeli ci raccontano Maria da giovane, da innamorata, da sposa, da madre. Da vedova e da senza-Figlio. Siccome è di una discrezione unica – senza mai apparire senza carattere – parla a chi vuol ascoltare».

Personalmente perché è così legato alla Vergine?

«A casa mia ho conosciuto prima Lei che suo Figlio. Sono stato fortunatissimo: nessuno ti può parlare con più verità, più conoscenza del figlio che sua madre. Sin da bambino mi hanno insegnato a mettere la vita sotto il “mantello” della Madonna di Monte Berico. Le devo tutto, sopratutto il fatto di non avermi mai fatto svergognare tutte le volte che sono tornato da Lei per dirle: “Mamma, ho (ri)sbagliato!” Ricordo che avvicinandomi al colle – in bicicletta, a piedi, in treno – mi vergogno al solo pensiero di raccontare a Cristo certe birbonate. È capitato anche poche settimane fa. Così gliele racconto a Maria e poi le dico: “Quando vedi che tuo Figlio è di buon umore, parlagli un attimo della mia situazione”. Per me questa è la forza di intercessione: Maria mi “dà un passaggio” per arrivare diritto al cuore del Figlio. Che, puntualmente, sempre interviene nella mia storia. Grazie alla buona-parola che ci mette Lei».

Don Marco Pozza mentre intervista papa Francesco per Tv 2000.

Che cosa significa per lei lavorare a stretto contatto con papa Francesco? Qual è l’aspetto che preferisce? 

«Essendo nato nel 1979, la mia fede è cresciuta e si è confermata sotto la guida di tre Pontefici: Giovanni Paolo è stato per me un Papa da guardare, Benedetto XVI un Papa da ascoltare, Francesco un Papa da toccare. Con Francesco, poi, ho dovuto aggiungere un accento: da Papa a Papà. Dio è generosissimo con me, mi sta donando una pagina sacra incredibile da vivere in questi anni: stare a contatto spiritualmente con Pietro è come stare seduti alla sorgente e poter bere l’acqua appena uscita dalla fonte. Freschezza pura. Ho intuito perchè questa grazia sia capitata proprio a me. Le predilezioni di Dio non sono proporzionali ai meriti, bensì ai bisogni-urgenti. Quest’incontro non lo merito, ma Dio lo sapeva che era l’unico modo con cui poteva parlarmi senza interferenze. È valso di più il primo sguardo di Francesco che tutta la formazione fatta in Seminario: certe volte Dio si prende in prestito gli occhi di un altro per guardarti in borghese. E, amandoti, correggerti. I lavori che facciamo assieme sono solo lo “zero-virgola” d’una storia che potrò capire solo vivendola. Lasciandomi guidare dallo sguardo di un uomo dall’umanità “imbarazzante”».

Carcere: di che cosa, umanamente, hanno più bisogno i detenuti oggi rispetto ad anni fa?

«I detenuti hanno bisogno che io mi sieda accanto a loro, li ascolti e, ascoltandoli, che io non provi vergogna nel sentirmi fragile, slabbrato, distratto come loro. Sono troppo astuti per non capire che nessun prete ha risposte precise alle domande sul male: non te le fanno mai. Mi chiedono di sedermi vicino e attraversare assieme a loro questo pezzo fastidioso di vita. Che, non l’avrei immaginato, attraversandolo mi cambia nel profondo. Sarò per sempre loro grato non del male che hanno commesso ma della sete di riscatto che qualcuno di loro mi mostra in presa-diretta. Sono il mio quinto Vangelo».

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