Padre Dino Ruaro, missionario dehoniano originario di Monte Magrè, a Schio, opera in una delle zone più instabili dell’Africa, a Mambasa, nella regione del Nord Kivu, al confine con l’Uganda. «Al momento la situazione è anche tranquilla – racconta al telefono -, anche se continuano ad arrivare notizie di assalti ai villaggi lungo la strada che da sud a nord collega le città di Beni, Komanda e Bunia. Vengono attaccati soprattutto i convogli, si vedono parecchi mezzi bruciati sul ciglio della strada. Spesso gli assalti si tramutano in carneficine con decine di vittime». Ordinarietà, purtroppo, per una territori che dai primi anni 2000 è balìa dei gruppi armati più svariati che ne sfruttano la popolazione e le risorse. Per chi ha un po’ di soldi, mettere in piedi una banda di predoni è un business non inusuale.
Tuttavia, «A Mambasa la situazione è ancora di relativa calma – prosegue il missionario -. La nostra parrocchia continua con le sue attività anche se abbiamo problemi con l’elettricità. I gruppi elettrogeni sono fuori uso e i pannelli solari sono pochi. Ne abbiamo ordinati altri dalla Polonia, arriveranno a metà marzo. Al momento è un po’ difficile anche ricaricare i telefoni».
Da qualche tempo padre Dino ha iniziato ad occuparsi della popolazione carceraria di Mambasa. «La prigione è stata costruita negli anni ‘50 – racconta -. Quando sono arrivato qui, nel 2007, era ancora chiusa. Ha riaperto solo tre anni fa per accogliere un centinaio di detenuti, poi hanno continuato ad arrivarne e adesso sono 650. La situazione è precaria, sia dal punto di vista alimentare che sanitario. I carcerati fanno letteralmente la fame. Per evitare il sovraffollamento il direttore ha fatto costruire dei campi di detenzione esterni alla prigione. Entrare in carcere non è difficile, le mogli dei detenuti lo fanno frequentemente per lasciare qualche prodotto da vendere, c’è un mercato vero e proprio tra prigionieri, ma non circolano molti soldi per cui i problemi rimangono. Per non parlare della situazione sanitaria: non esistono praticamente cure, specie per le infezioni intestinali».
Grazie all’aiuto di un donatore in Italia i padri saveriani riescono a garantire due pasti a settimana, «stiamo coinvolgendo la parrocchia perché tutti possano dare qualcosa e assicurare così un pasto settimanale» racconta don Dino, che le pensa tutte per alleviare le sofferenze dei carcerati: «sono un appassionato di pallavolo, così ho provato a chiedere al direttore e siamo riusciti a costruire un campetto. Ho anche recuperato un pallone, mentre per i ragazzi ho preso un pallone da calcio». Sì, perché a Mambasa sono reclusi anche dei minori.
«Ogni tanto arriva qualche guerrigliero pestato a sangue, senza che ci siano medicine per curarlo, ma in generale i carcerati sono tutti criminali comuni -spiega padre Dino -. Il problema è che in città vige la legge marziale, il tribunale è gestito dai militari che non si occupano di questi carcerati. Per cui tanti sono rinchiusi senza imputazione, senza che nessuno li venga a cercare».

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