Territorio

«Cinque anni e mezzo per abbracciare il nostro Adama»

Chiara e Ramon solo volati in Burkina Faso il 17 ottobre scorso dopo posticipi di udienze, cambio di giudici e... la pandemia.
Ramon e Chiara, il giorno in cui hanno portato a casa Adama, bimbo del Burkina Faso di quasi 6 anni.
di Marta Randon

Adama ha i colori e la forza dell’Africa nei gesti, movenze, parole. Fatica ad indossare le scarpe, mangia con le mani. Adora la pastasciutta della mamma, il vola vola del papà, gli abbracci del fratellino Mussie, con cui litiga per i giocattoli come tutti i fratelli che si rispettino. Ha quasi 6 anni. I genitori, Chiara e Ramon, 44 e 46 anni, l’hanno abbracciato un mese fa dopo 5 anni e mezzo di attesa. Sono volati in Burkina Faso il 17 ottobre scorso, dopo posticipi di udienze, cambi di giudici, dossier in ritardo. E, dulcis in fundo, la pandemia da Covid. 

«Dovevamo andare a prenderlo circa un anno prima – spiega la madre, responsabile qualità in un’azienda  nel Vicentino  -. La proposta di abbinamento è arrivata nel 2018, sembrava che potessimo riuscire ad averlo con noi a casa entro un anno, invece i tempi si sono allungati soprattutto per problemi burocratici in Burkina Faso dove lo stesso giudice si occupa delle pratiche relative a un’adozione internazionale come di quelle di un ladro di galline sotto casa». Avendo già adottato un bimbo etiope (Mussie), prima di orientarsi per il Burkina Faso, la coppia aveva intrapreso il cammino per una nuova adozione nel Paese del Corno d’Africa. «L’idea era di dare al nostro primo figlio un fratello proveniente dallo stesso Stato per il desiderio di dimostrargli quanto orgogliosi fossimo delle sue origini. Nel 2017 l’Etiopia ha però chiuso le adozioni internazionali e abbiamo dovuto ricominciare daccapo. E stata dura, ma non ci siamo arresi. C’era comunque un bimbo che cercava una famiglia». Sono tanti i Paesi nel mondo che in questo terribile 2020 hanno rallentato, chiuso tutto; alcuni cercano di guadagnarci qualcosa in più con richieste di denaro extra in cambio di vie preferenziali.

A gennaio 2020 sembrava che il tribunale di Bobo Dioulasso, città di origine di Adama in Burkina Faso, emettesse la sentenza: «Ma a febbraio – causa Covid – si è fermato tutto di nuovo. Il via libera è arrivato a luglio. Eravamo terrorizzati che questa volta fosse l’Italia, con la seconda ondata Covid, ad impedirci di volare. In 3-4 mesi siamo riusciti ad avere finalmente quasi tutti i documenti pronti e abbiamo raggiunto il nostro Adama».

Adama è stato in istituto un anno in più per niente. Parla il suo dialetto, un po’ di francese con il quale si fa capire bene. «A casa si lava i denti tre volte al giorno – racconta Chiara divertita -. Ci ha detto che che in istituto c’era un unico spazzolino per tutti.  In una settimana ha messo su 2 kg, non credo mangiasse molto. Mi è sembrato comunque un istituto tenuto bene, gestito da una signora francese, a 300 km dalla capitale».  Adama non è andato a scuola: «Volevamo pagarla noi, ma non c’è stata data la possibilità; in Burkina Faso non è così scontato aver diritto all’istruzione. Abbiamo deciso di aspettare qualche mese prima di iscriverlo alla materna, vogliamo che mastichi un po’ di italiano. Conosce già diverse parole, come tutti i bambini è una”spugna”». 

La trafila per l’adozione è la stessa per tutti: richiesta di interesse all’Ulss di competenza che propone una serie di incontri per conoscere le caratteristiche dei bimbi adottati per Paese ed età e varie indicazioni; invio della domanda di disponibilità all’adozione al Tribunale dei minori di Venezia che dà l’incarico all’Ulss di fare uno studio psicologico, sociale ed economico della coppia. Se tutto va bene l’Ulss manda l’ok al Tribunale che rilascia un decreto di idoneità. «Da questo momento la coppia ha un anno per scegliere l’ente accreditato in Italia a cui dare mandato – spiega Chiara -. L’ente spiega quali sono i Paesi in cui operano, le caretteristiche, i costi e i tempi stimati. Il Burkina Faso, ad esempio, richiedeva genitori sposati da almeno 5 anni e al massimo un figlio già presente». L’adozione non è per tutti, non solo per l’attesa e la pressione psicologica. «Abbiamo speso circa 15 mila euro per entrambe le adozioni – spiega Chiara -. L’Africa è uno dei Continenti più economici. Per adozioni in altri Paesi si arriva a spendere anche 30 mila euro ».  

I genitori di Adama si sono rivolti all’ente lombardo “Mehala Onlus” che, oltre al Burkina Faso, è operativo in India: «Un’ottima esperienza – spiegano – .Ci siamo sentiti seguiti con vari incontri a tema durante tutto il periodo dell’attesa: la storia del bimbo, le sofferenze, l’ingresso in famiglia, la scuola. L’adozione ha tante difficoltà in più rispetto ad un figlio naturale». Ma sono maggiori anche le gioie: «Se la gestazione di un figlio naturale è per l’ 80%  faccenda della madre, nell’adozione, le pance sono due, una della mamma e una del papà, fifty-fifty» dice Chiara.

Il primo figlio, Mussie, è arrivato a casa a sei mesi. «A differenza del fratellino, Adama ha un vissuto. Sa da dove viene, ricorda le sue origini. Per Mussie  non è stato così e già da tempo ha cominciato a farsi e farci domande sulle sue origini, alle quali purtroppo non abbiamo risposte certe, ma cerchiamo di raccontargli una storia il più verosimile possibile. Le criticità e gli ostacoli ci sono sempre, ma il supporto c’è e basta cercarlo. Probabilmente noi genitori adottivi siamo più preparati a chiedere aiuto. Andare da uno psicologo non è una vergogna. L’unione fa la forza».

Chiara e Ramon sono sposati dal 2003, Mussie è arrivato nel 2013. «Come tantissime coppie abbiamo provato ad avere un figlio naturalmente, non è arrivato – conclude Chiara -. Da piccola avevo il Cicciobello e la Barbie di colore. Era tutto dentro di me, dovevo solo guardare meglio».