Legato a Schio, dove è stato cappellano prima di entrare in nunziatura apostolica, il Segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin è la figura giusta per riflettere sul legame tra la città e Santa Bakhita, dove giovedì 29 giugno è stata inaugurata l’importante scultura realizzata dall’artista canadese Timothy Schmalz intitolata “Let the oppressed go free”, liberate gli oppressi. Da Schio, infatti attraverso la storia di Bakhita, risuona il messaggio evangelico di libertà e dignità per tutti gli schiavi di ieri e di oggi, una delle attenzioni primarie del Pontificato di Papa Francesco.
Eminenza, qual è il Suo legame con Santa Bakhita?
«Sento molto vicina Suor Bakhita, perché, un po’ sulla linea di Santa Maria Bertilla Boscardin, ha vissuto una vita semplice e dimessa, senza protagonismi, ma piena di fede e di amore, con cui ha riempito tutti i suoi giorni e le sue azioni. Per di più segnata da terribili prove e sofferenze, nelle quali si è abbandonata nelle mani del suo “Paròn”: “quelo che vole el Paròn”! Questo legame, iniziato con la lettura della sua storia, si è rafforzato durante la mia permanenza a Schio, dove essa ha vissuto gran parte della sua vita religiosa e dove è sepolta. Come dicono i latinoamericani: “Es una Santa de mi devoción”, una Santa di cui sono particolarmente devoto».
Che significato assume il riconoscimento di questa Santa come patrona secondaria di Schio?
«La Chiesa ci indica i Santi come nostri amici e modelli di vita. Ciò vale particolarmente per i Patroni, sia delle persone che delle comunità. Il riconoscimento di Santa Bakhita come Patrona secondaria di Schio, già tanto conosciuta e amata in città, risalta tale dimensione: amica, Suor Bakhita accompagna dal cielo ogni suo abitante, anche coloro che non la pensano o non la invocano, con la stessa tenerezza e bontà con cui accoglieva la gente che andava al convento delle Canossiane; modello di vita, è un richiamo al cuore del cristianesimo, l’amore a Dio e l’amore al prossimo, e alla pratica delle virtù, sia quelle personali che quelle sociali, che sono i modi abituali di vivere secondo il bene morale che si esprimono nei rapporti con gli altri. Senza virtù personali e senza virtù sociali non c’è convivenza degna di questo nome! È importante, dunque, che una comunità, una città guardi a questo esempio».
Cosa dice la fede della Santa Moretta alle donne e agli uomini del XXI secolo?
«L’esempio di Santa Bakhita ci mostra ciò che Dio può realizzare quando lo lasciamo agire in noi e attraverso di noi; Dio ha accompagnato una bambina del Sudan, che aveva addirittura dimenticato il suo nome, prendendosi cura di lei. Con la sua vita, Bakhita ci mostra che il percorso di trasformazione è lento ma porta lontano. In un’epoca in cui il bene ultimo è una “libertà” individuale senza limiti, Santa Bakhita ci mostra che la vera libertà è quella che viene da dentro, è scegliere Gesù nel segreto del proprio cuore. Santa Bakhita e la sua fede aprono un cammino di luce e di speranza e ci mostrano nell’umiltà la via maestra per seguire Gesù».
Santa Bakhita è figura di riferimento nella lotta contro la tratta. Che messaggio ci affida oggi?
«La storia di Santa Bakhita è unica nel suo genere ed è illustrativa dei problemi e dell’ingiustizia dei suoi tempi: colonizzazione, schiavitù, sfruttamento… ma non è solo qualcosa accaduto nel XIX secolo. Queste tristi realtà, purtroppo, continuano ad esistere ai nostri giorni, anche se in forme diverse. Ogni giorno ragazze vengono sottratte alle loro famiglie e condannate a forme di sfruttamento. Potrebbe esserci qualche Bakhita che soffre la follia di qualcun altro, in un appartamento accanto a dove viviamo, nella nostra strada, nella nostra comunità, nella nostra città. Mentre il numero delle persone trafficate e dei gruppi a rischio cresce esponenzialmente, Santa Bakhita ci incoraggia a guardare, a riconoscere la dignità di tutti e ad agire contro il traffico di esseri umani».
Come Bakhita, con l’affermazione della sua dignità, può essere anche un modello di donna?
«Santa Bakhita può essere un modello sia per le donne che per gli uomini in quella “resilienza” di cui oggi tutti parlano e che è sinonimo di forza, resistenza, flessibilità, adattabilità, ecc. Ne ha passate tante, ma ha continuato a camminare, ad andare avanti. Ha risposto alla sofferenza attraverso piccoli atti di cura. Come ha detto Papa Francesco, “è la cura dell’amore che ci cambia nel profondo e ci rende capaci di accogliere gli altri come fratelli e sorelle. Riconoscere la dignità di ogni persona è il primo atto di cura!”. Santa Bakhita ha riconosciuto non solo la propria dignità ma anche quella degli altri che ha incontrato nella sua vita. Ci incoraggia a prenderci cura gli uni degli altri. Un atto di cura ne genera un altro, genera reciprocità, comunità. Prendendoci cura gli uni degli altri, possiamo riconoscere la dignità intrinseca di ognuno e di tutti su questa terra, specialmente dei più vulnerabili. Proteggendo la dignità come si fa con una fiamma che si vuole proteggere dal vento, possiamo combattere al meglio la tratta di esseri umani».
L’opera d’arte che viene inaugurata a Schio raffigura Bakhita che libera gli oppressi. Il pensiero va ai tanti migranti che cercano un futuro umano in Europa. Come possiamo superare le paure e gli egoismi che rendono così difficile accogliere?
«È coltivando una cultura dell’incontro e del dialogo che possiamo superare le paure e abbattere i muri. L’incontro e l’ascolto reciproco aprono cammini di accoglienza e di riconciliazione. Accogliere l’altro non è mai stato facile e non è possibile se non lasciamo che Dio ce lo insegni. Guardando al Vangelo, vediamo che i discepoli sono stati educati da Gesù all’incontro con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, una donna appartenente a un popolo con cui gli ebrei rifiutano di entrare in contatto. Ciascuno di noi ha la responsabilità di favorire la cultura dell’incontro. Curando e ascoltando attraverso il nostro cuore, le persone possono aprirsi ad accogliere l’altro. Dare priorità alla cura, all’apertura agli altri, all’ascolto e al dialogo, sono scelte che vanno prese e vissute quotidianamente. Si tende oggi, come un secolo fa, a cristallizzare la cultura “europea” in quelli che potrebbero essere considerati i secoli d’oro del continente: la democrazia greca, l’impero romano, i regni cristiani durante il medioevo, ecc. Eppure l’Europa è sempre stata un continente di incontro, di dialogo, di culture diverse che si influenzano a vicenda. Attraverso scambi di merci, idee, valori, provenienti da altri continenti, l’Europa è diventata quello che è oggi. Continua ad evolversi, a cambiare, a ridefinire la propria identità, ma sta a noi decidere se lo fa chiusa in sé stessa, invecchiando da sola, o in relazione con gli altri, accogliendo e aprendo le sue porte».
Lauro Paoletto