Otto vicariati visitati su quattordici totali. L’esperienza degli incontri vicariali “Camminando si apre il cammino” cominciata il 13 gennaio scorso a Sandrigo-Dueville, ha superato il giro di boa. Abbiamo incontrato per un primo bilancio l’organizzatore e vicario episcopale per l’evangelizzazione nelle parrocchie riunite in Unità pastorali don Flavio Marchesini.
Don Flavio, come sono andati questi primi incontri?
«Il sentimento che provo è più che positivo. Sono grato e riconoscente nei confronti di chi ha partecipato. Sono stati bellissimi momenti di Chiesa. Non mi sarei mai immaginato un’esperienza così arricchente. Ora si prosegue, non abbiamo finito».
La partecipazione com’è stata?
«Poteva essere maggiore. Devo ammettere che forse non siamo così bravi ad organizzare incontri di questa portata. Dobbiamo affinare la capacità di comunicare nel modo giusto. In ogni caso non è così facile coinvolgere le persone il sabato e la domenica».
La presenza giovanile vi ha soddisfatto?
«Molto. Direi che hanno partecipato molte persone medio-giovani. Ci siamo accorti della grande differenza tra ragazzi e anziani nel modo di pensare. Gli anziani parlano in modo funzionale, poco relazionale, hanno in mente il “si faceva così,” i giovani non hanno preoccupazione dei confini in modo stretto, puntano sulla relazione, sul gruppo di riferimento».
Gli anziani hanno “costruito” le parrocchie, è una questione di cuore.
«Certo, è una questione affettiva. L’anziano è legato alla chiesa, all’oratorio perché nella maggior parte dei casi ha contribuito alla costruzione. I giovani hanno trovato tutto già fatto, è un legame diverso. È necessario però fare un passo in avanti. Tutti, insieme».
La seconda parte degli incontri, in cui illustrate alle comunità la nuova organizzazione territoriale, è stata la più accesa. Non sono mancate e non mancheranno discussioni.
«È chiaro che le notizie concrete sono sempre più toccanti e impattanti. Se il mio vicariato da 3 può passare a 6 Unità pastorali è un bel cambiamento. Devo rimettere in discussone molto, devo mettermi in moto e quindi mi agito. Il vero problema è che purtroppo non riusciamo a dare lo stesso tempo ai due momenti dell’incontro. Il secondo dura meno, al massimo un’ora. Per non fare differenze abbiamo comunque deciso di continuare così. Anche perché questo è il primo appuntamento di un percorso più ampio. C’è tempo per discuterne».
In che senso?
«Quello che succede nella seconda parte dell’incontro vicariale poi viene “rimandato” alle parrocchie. I facilitatori, assieme a chi ha partecipato, devono farsi promotori e portare quello che è emerso nelle comunità di riferimento. Se inizialmente ascoltiamo 200 persone, noi speriamo ne vengano coinvolte altre 200-300 attraverso incontri locali. I facilitatori dovranno raccogliere le informazioni , compilare delle schede che stiamo preparando e inviarle al Laboratorio pastorale diocesano. Ne terremo conto e nel secondo incontro vicariale, verso la fine del 2024, tireremo le somme comunicando l’orientamento definitivo riguardo ai confini della diocesi».
Avete riscontrato paura, timore in alcune comunità?
«Sì, credo che paura sia il termine esatto. Voglio sottolineare che proponiamo alle comunità delle ipotesi. Come ho già detto hanno tutto il tempo e il diritto di far presente quello che secondo loro si può migliorare. In ogni caso abbiamo 10 anni davanti, non 10 giorni».
Alcuni sostengono che è gia tutto deciso, calato dall’alto.
«Non è così e stiamo male quando sentiamo discorsi di questo tipo. È ingiusto, soprattutto nei confronti del Vescovo che è nuovo, e non rispettoso nei confronti di chi ha provato a ridisegnare i confini. Il punto centrale è chiederci “Che cosa significa diventare Umità pastorale?”. Bisogna creare una chiesa comunionale, davvero sinodale. È necessario “cambiare la testa”, superando la funzionalità. In questo i laici sono più bravi dei preti. Conosco diversi gruppi che già stanno lavorando in sinergia, in vista del futuro. Ora dobbiamo concentrarci sul “gusto di incontrarci”».
Marta Randon