Di acqua la scorsa settimana ce n’è stata troppa, ma solo l’anno scorso, in questo stesso periodo, si usciva da uno degli inverni più secchi di sempre. Non sono “capricci del tempo” ma un assetto climatico completamente nuovo che, però, continua metterci in ginocchio. Perché? Ne parliamo con il vicentino Andrea Sottani, idrogeologo e fondatore di Sinergeo, società di consulenza idrogeologica ed ambientale
Sottani, un anno fa parlavamo di siccità, oggi di rischio alluvioni. È un caso?
«No, non lo è affatto. Siccità e alluvioni sono due facce della stessa medaglia. Lo ha rimarcato pochi giorni fa all’Accademia Olimpica di Vicenza Andrea Rinaldo, vincitore nel 2023 dello Stockholm Water Prize, il “Premio Nobel” dell’acqua. Anche le acque sotterranee confermano quanto sopra. Dagli anni ’50 ad oggi, i livelli delle falde sono in continuo calo; ma a colpire è la frequenza sempre maggiore di fenomeni estremi. Periodi di forte magra si alternano, anno dopo anno, ad altri di segno opposto».
Quali sono le ragioni di queste oscillazioni?
«In primo luogo, mi sento di citare fattori climatici, dinamiche complesse che dipendono da cicli naturali, a cui si sommano le conseguenze di cambiamenti in atto alla scala globale. In epoca recente si registrano variazioni rilevanti dei regimi pluviometrici: per semplificare, è in aumento la frequenza di precipitazioni intense mentre decresce il numero dei giorni piovosi. È cresciuta quindi l’intensità delle piogge, che trovano però una situazione del terreno particolare. E qui subentra un secondo fattore».
Quale sarebbe?
«La gestione del territorio. L’ultimo rapporto Ispra sul consumo di suolo afferma che nel 2022 questo è addirittura accelerato, avanzando, in soli dodici mesi, di oltre il 10% rispetto al 2021. Questa tendenza prosegue ininterrotta dagli anni ’50, a causa dello sviluppo urbano e industriale. Le conseguenze sono diverse, tra queste l’impermeabilizzazione del suolo. Le piogge più intense trovano, quindi, una condizione del terreno inadatta a riceverle. La conseguenza è che nelle reti idrografiche naturali, così come in quelle infrastrutturali realizzate dall’uomo, transitano portate d’acqua sempre più considerevoli e talora critiche. Come è avvenuto nel Vicentino nei giorni scorsi».
L’impressione è che di fronte alla situazione climatica nuova, la rete idrica realizzata dall’uomo (dalle grandi opere di canalizzazione ai sottoservizi urbani) sia “datata”. È un’impressione corretta?
«Non è solo un’impressione corretta ma, per certi versi, un dato di fatto. Nonostante la presenza di gestori del servizio idrico integrato illuminati, che investono risorse per un continuo miglioramento, non si può negare che, almeno in parte, ci siano fognature datate, impianti progettati con criteri ingegneristici che andavano bene cinquant’anni fa. Per questo i bacini di laminazione svolgono un ruolo importante di mitigazione e di sicurezza: essi riescono a tagliare il picco della piena, incamerando un volume d’acqua ingente, che poi viene scaricato un po’ alla volta nel fiume, prevenendo le criticità alluvionali».
Le piogge di questi giorni hanno almeno portato ad una ricarica delle falde? Lo spettro di un altro anno siccitoso è ancora presente?
«Purtroppo, solo una parte modesta di queste piogge va a ricaricare efficacemente il comparto sotterraneo. E non possiamo nemmeno affermare con certezza che lo spettro della siccità sia scongiurato. Ne abbiamo parlato poco fa: alluvioni e siccità si alternano velocemente».
Perché le falde non si ricaricano con tutta questa pioggia?
«Perché l’infiltrazione dipende da svariate condizioni: stato del suolo, permeabilità del terreno all’acqua e durata del loro contatto. Una pioggerellina sottile e prolungata è certamente molto più efficace di una bomba d’acqua per ricaricare la falda. Su questo tema, siamo al lavoro con l’Intesa programmatica d’area (Ipa) Alto Vicentino, l’ex Fondazione Festari. Dopo Pasqua sarà pubblicata una monografia dal titolo: “La ricarica artificiale degli acquiferi: da azione strategica per la conservazione delle risorgive ad azione strutturale di adattamento al cambiamento climatico”. Si tratta di una proposta integrata di gestione dell’acqua anche in ordine alla conservazione delle risorgive. A livello locale occorre lavorare molto, per installare impianti diversi, tutti utili e parimenti virtuosi: grandi e piccoli bacini, pozzi di reintegro, aree forestali di infiltrazione… Bisogna essere lungimiranti ed attivarsi quanto prima».
A questo proposito, la risposta più immediata per non trovarsi nuovamente di fronte a situazioni come quella di questa settimana è la realizzazione di nuovi bacini di laminazione. È l’unico modo di affrontare il problema?
«Come non c’è una soluzione univoca per ricaricare le falde, così non sussiste una risposta singola per il tema idraulico. L’invaso, come abbiamo visto nei giorni scorsi, è un toccasana. Però sarei prudente nel dire che siamo in una condizione di sicurezza definitiva. Se continuasse a piovere intensamente con un bacino già pieno, questo è come se non esistesse… Le soluzioni sono molteplici: occorre intanto invertire la tendenza al consumo del suolo. Servono azioni strutturali, una programmazione diffusa ed estensiva delle aree di invaso e di ricarica, oltre ad una gestione oculata di tutte le questioni che convergono su questi argomenti. Le superfici antropiche devono tornare ad essere permeabili. Anche un parcheggio può essere realizzato con criteri adeguati a favorire l’infiltrazione dell’acqua. Ed è prioritario proteggere ed incrementate la copertura vegetale: boschi e manti erbosi sono fondamentali per rallentare il ruscellamento, per trattenere e poi far permeare l’acqua nel substrato. Non esiste dunque un’unica soluzione: tutti noi possiamo contribuire, per aumentare la consapevolezza sociale, per diffondere le informazioni e per rendere queste problematiche, anche quelle sotterranee invisibili, concretamente visibili da parte di tutti».
Andrea Frison